art2(english: “My name is Jan, and I come from far away”)

E all’improvviso arriva lui ad interrompere la passeggiata per smaltire l’abbondante cena, ci viene incontro e sembra un personaggio francese preso in prestito da un vecchio film di Truffaut col suo aspetto aristocratico, gli occhiali grandi, il basco da artista e le scarpe impolverate di chi ha percorso tanta strada a cavallo di quei pantaloni con le frange e, prima che io possa formulare un seppur breve pensiero, si rivolge a me e mio marito, dicendo: “Mi chiamo Jan, posso fare ritratto? Io Repubblica Ceca”, rivelando in due parole generalità, intenzioni ed incerta comunicabilità. Le risposte ricevute all’unisono dal gentile sconosciuto sono state un sì ed un no, rifiuto che ribadisco con scarsa convinzione e da cui desisto senza troppa fatica davanti alla sua espressione delusa. Chiediamo dei tempi necessari per realizzare i disegni, contrattiamo brevemente sul prezzo e ci avviamo verso un angolo illuminato in maniera adeguata. Per il mio insolito ruolo di modella rimango zitta ed immobile per una ventina di minuti manco stessi facendo una TAC, mentre lui interrompe quel silenzio parlando, con un inglese variegato all’italiano, del suo amore per la nostra musica, il calcio degli Azzurri e la cucina siciliana. Mi faccio coraggio e, in un imbarazzante inglese, cerco di sapere un po’ di più su quel ragazzo dalle gambe lunghe ed il viso d’angelo che racconta di avere 25 anni, di trovarsi in Italia da cinque mesi, di suonare il pianoforte ed avere una passione per John Lennon e il vino italiano, senza mai smettere di sorridere se non quando alza la matita dal foglio per ricordarmi di guardarlo negli occhi. Soddisfatti e conquistati dall’arte e dall’artista, su nostra richiesta sul retro del disegno scrive telefono con indirizzo di posta elettronica e, sempre nel mio stentato ma comprensibile inglese, domando dove andrà a dormire. Mi sorride. -“Under the sky?”- “Yes!”, preoccupato solo di recuperare non dimenticare fogli e matite poggiati su quella sedia presa in prestito dalla pizzeria vicino che per l’incerta sistemazione notturna. Sembrava finito lì, ci guardiamo con mio marito,un tacito accordo e decidiamo di portarlo da nostra figlia in piazza con le sue amiche. Perplesso e fiducioso ci segue. Pochi minuti ed intorno ai due protagonisti si forma la folla degli eventi straordinari con bambini e ragazzi curiosi di vedere un’immagine diversa dalle soliti immortalate sui telefonini, altri mandati dai genitori in avanscoperta per informarsi su prezzo e competenza, qualcun altro più scettico con le mani dietro la schiena si avvicina ed allunga il collo per cercare di sbirciare i lavori in corso di quelle mani che continuano instancabili mentre i suoi occhi cercano i nostri per improvvisa complicità o per la voglia di condividere con noi il successo nella piazza di un piccolo paese. Il tempo scorre, i rumori alle nostre spalle del bar che sta chiudendo e qualche lampione sul lungomare ormai spento ci ricordano che è tardi e l’indomani si lavora. Ci avviciniamo per congedarci, stretta di mano vigorosa a mio marito, baciamano per me che gli auguro buona fortuna sapendo di non incontrarci più e di quanta ne ha bisogno chi vive con l’arte e per l’arte, libero e leggero come la sua tracolla che conteneva le poche cose necessarie a Jan, venuto da lontano e rimasto in qualche modo qui con noi.

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