fuoriPensavo di non guardare la partita quel pomeriggio che mi avrebbe visto fare shopping con mia figlia per una precedente promessa fatta senza tenere in considerazione il calendario di questo Mondiale, ma mantengo sempre la mia parola, soprattutto con chi quella sera andava in pizzeria con i suoi amici e non aveva niente da mettersi, come tutte le donne alla vigilia di un impegno mondano più o meno importante. Una telefonata della sua amica: la serata è rimandata! Però non vuole comunque rinunciare a cercare qualcosa di nuovo da indossare e fare numero nel suo stracolmo armadio. Mi gioco la sempre efficace carta del compromesso: andare dai miei a guardare solo il primo tempo e, in caso di rete avversaria, si va via subito. Accetta. Mio padre seduto fiero nella sua poltrona, mia madre accanto a chiedere di continuo i nomi dei calciatori e spiegazioni di falli o mancate punizioni, lasciandolo impassibile mentre segue attento come se fosse lui a guidare con gli occhi i movimenti dei giocatori in campo. Il resto della famiglia in ordine sparso e sempre uguale da anni, pronto ad alzarsi in piedi ad ogni occasione mancata, di solito seguita da creative imprecazioni contro pure i raccattapalle.
All’intervallo si va via, cominciamo a muoverci nelle strade deserte ed entriamo in un negozio dove le commesse mi ricordano subito i bambini quando piangono sul palco alla recita di Natale vestiti da elfi perchè hanno al collo una ghirlanda tricolore, la bandiera dipinta sulle unghie e l’espressione di chi ha appena ricevuto una cartella Equitalia. Continuiamo i nostri giri nel silenzio spettrale di luoghi solitamente affollati fino all’ora di cena e si va a comprare il pane al supermercato e vedo la ragazza sulla scala sistemare merce nello scaffale, dicendone una per tutti ad ogni commento del telecronista nella radio in sottofondo. Chiedo del risultato ed è ancora pareggio a reti inviolate, seguito da indecifrabili borbottii, mentre continuavano a caderle patatine e lattine di pelati sistemati più con rabbia che diligenza.
Ci avviamo verso casa, riprendono i rumori urbani di macchine e motorini, vedo uscire tutti dalle casa alla spicciolata e nello stesso momento come la fine di un coprifuoco, dopo aver visto quella Nazionale non proprio brillante, ma che si era aggiudicato un posto agli ottavi con uno stentato pareggio.
E invece neanche quello. L’Uruguay aveva segnato e tolto la possibilità a quanti avevano organizzato da qui a luglio cene con gli amici, serate al bar sotto casa e piazze con maxischermi tra sedie pieghevoli e venditori di bandiere. A noi sarebbe bastato. Siamo italiani.