crazy pizza  (1)Come ogni famiglia che si rispetti, anche la mia ha i suoi piccoli riti, le sue irrinunciabili abitudini che scandiscono la settimana: un reality culinario da guardare tutti insieme, il sabato dedicato alla spesa e shopping vario, la domenica a casa dei nonni, pizza in casa o fuori il venerdì, l’ultimo dei quali ho avuto l’ insana idea di affrontare l’ ignoto andando in un locale a noi nuovo.
Nonostante questo sconsiderato ed inspiegabile spirito d’avventura, non ci siamo allontanati molto da casa, ma quella manciata di chilometri è bastata per farci vivere un’ esperienza tra il genere commedia in stile Casa Vianello e quello della fantascienza come Incontri ravvicinati del terzo tipo.
Su mia richiesta ed altrui rassegnata approvazione, ci fermammo davanti ad una pizzeria dall’ innocuo aspetto e con uno degli unici due tavolini apparecchiati fuori occupato da un padre che, ridendo su qualcosa di divertente solo per lui, tagliava la pizza al figlio interessato solo al videogioco stretto in mano come un’arma ed incurante delle attenzioni paterne: scena non idilliaca, di certo rassicurante.
Entrammo accolti da una signora dall’aspetto già stanco (mancava un quarto d’ora alle nove di sera) che, strascicando le sue calzature, ci accompagnò dentro il locale, stranamente vuoto a quell’ora e dalla stessa sollecitati, con evidente impazienza, a scegliere un tavolo tra i tanti vuoti, anzi tutti . Senza prendere nota se non a mente, raccolse  tutte le ordinazioni: antipasti, variazioni con supplementi d’ogni tipo e bevande comprese, riuscendo a dirle, nei pochi secondi che ci aveva concesso, di portare una gassata grande anche se ormai era davanti alla cucina dove avrebbe dovuto accertarsi sulla possibilità di  preparare qualche bruschetta.
E proprio lì erano accesi non solo forno e fornelli, ma anche i toni del cuoco che domandava, alquanto seccato, quante pizze avrebbe dovuto fare (erano solo quattro, le nostre…), polemiche confermate dall’espressione sconsolata della signora che venne ad avvisarci dell’arrivo delle sole patatine (in un unico piatto e non nelle quattro porzioni richieste).
Mentre mangiavamo la nostra pizza sotto lo sguardo minaccioso del cuoco che si era palesato per uscire in terrazzo, facendoci un cenno con la testa tra il saluto e la sfida, un rumore alle mie spalle mi distraeva da questa inquietante presenza: era la signora che portava i piatti al tavolo accanto con il carrello portavivande in uso negli ospedali!
Era già avvenuto tutto questo e non avevamo ancora conosciuto il personaggio numero tre:  il proprietario, che debuttò nella sala portando in una mano le cozze per i nostri coraggiosi compagni di viaggio e un fazzoletto nell’altra per asciugarsi il sudore durante il tragitto.
Avvicinandosi con il suo enorme grembiule che mal celava un imbarazzante girovita, cominciò spontaneamente a raccontarci le tristi vicissitudini del cuoco, i suoi problemi con la famiglia e l’alcol per interrompersi bruscamente, dicendo: – volete altro?-  e noi  – No,no, va bene così. Grazie!-, accompagnando le parole ai gesti con le mani che preludevano al saluto e chiedendo il conto.
Nel timore non proprio infondato di sentirci dire ” E ora da qui non esce più nessuno”,  arrivò  e  – 60 euro! -,  – Ma come, così? –  replicò mio marito e lui abbozzò un gesto col capo per cercare complicità e simpatia, mai arrivate. Saldammo la cena più veloce nella storia della nostra famiglia e scappammo.
Qualcuno prima di noi ha già avuto un’esperienza simile con i due protagonisti che, a bordo di una Ritmo, superano un passaggio a livello ritrovandosi a Frittole nel 1400 quasi 1500, ma si parla di finzione cinematografica. Ancora oggi, pensando a questa surreale esperienza, mi viene il dubbio se non fossimo finiti in una dimensione parallela, se fosse stato un sogno o uno scherzo e se, ripercorrendo la stessa strada, il locale sia davvero là.
La lattina di Coca-Cola che mia figlia non ha consumato ed ha portato via, è  però la prova tangibile che tutto sia realmente accaduto ed è ancora  in bellavista nel frigo.
Almeno credo…