4973195-colorful-di-abbigliamento-femminile-in-un-armadio-o-di-un-negozio-al-dettaglioNon so se fosse stato per una lunga nottata di sonno, ma quella mattina mi svegliai laboriosa come un castoro e con un ottimismo tale da pensare di vincere con un biglietto del gratta e sosta. Fu comunque così che decisi di alleggerire dal superfluo l’armadio in camera da letto trascurato da tempo e che, in un’onorata ventennale carriera, l’unica cosa che ha sempre visto (escludendo qualche sporadica apparizione di mio marito da attore non protagonista) è stata la mia sconsolata espressione da ” oddio, non ho niente da mettermi” ogni volta che aprivo le ante. Dimenticando l’iniziale intenzione ed abbandonandomi alla curiosità di chi rovistava in roba altrui, vedevo come fosse tangibile la mia spiccata inclinazione al feticismo che mi aveva portato a conservare negli anni qualunque cosa: il primo abbonamento trasporto scolastico, la ricevuta del mio debutto da elettrice, il biglietto del treno dell’esame universitario numero uno, gli inviti ai matrimoni ed ai compleanni degli amici dei miei figli, i cartoncini dei confetti e molto altro. Tutte cose che non hanno pretese di spazio, ma per vestiti, giacche e cappotti, considerevoli per numero e volume, la musica cambia. Superata con relativa facilità la difficoltà di eliminare lo stock maschile sulla base dell’unico criterio “fuori moda”, passai velocemente ai miei capi constatando come fosse direttamente proporzionale la posizione in fondo nell’armadio con la lunghezza del passo indietro nel tempo, arrivando quasi a sentirli raccontare la loro storia ed il motivo della loro presenza: alcuni vestiti risalivano addirittura al periodo prematerno o a quello di una dieta riuscita, altri testimoni del fallimento della stessa (e comunque quasi tutti dimostravano il mio amore per il colore nero clemente con la mia tg 44 trattabile), c’era il tubino comprato per l’anniversario di matrimonio, unica occasione in cui vide la luce perchè troppo scollato, quello indossato per il battesimo del mio primo figlio ancora cellofanato dalla lavanderia che aveva pulito la macchia sulla spalla per il rigurgito del latte, un cappotto con spalline tanto grandi ed orribili da far più paura di quel rigido inverno in cui lo comprai, qualche completo da ginnastica acquistato per mantenere fede alla promessa di essere in forma, serviti invece alle bucoliche gite da Pasquetta o 1°maggio. Titubante ed intimorita dalla possibilità di farmi seriamente del male, prendo un vestito a caso e lo indosso immaginandomi immortalata con la didascalia “PRIMA/DOPO” come in certe foto pubblicitarie di prodotti dimagranti. Ancora ci entravo! Era impensabile suscitare l’invidia di un’ipotetica spettatrice perchè irrispettoso degli attuali canoni modaioli, ma non faceva una grinza e non avevo avuto difficoltà ad abbottonarlo. Beh, solo un po’…. Ero fiera ed orgogliosa di me stessa, della mia ferrea ed incrollabile volontà a non cedere di fronte alle tentazioni della tavola (eccezion fatta per le feste comandate), sacrifici e rinunce che mi avevano permesso di indossare gloriosamente quell’abito dopo vent’anni. E nel pieno della mia silenziosa autocelebrazione, l’unico sconcerto l’ho avuto per l’incapacità di rispondere a quella domanda che si insediava nella mente e alla quale Giacobbo avrebbe potuto dedicare un’intera puntata di Voyager: ma che ci fa ancora nel mio armadio questo vestito dopo vent’anni?—-