autobiographyE quando penso che la mia capacità di sorprendermi sia bella che sepolta in un lontano cimitero indiano dell’ America Centrale, ecco che arrivano le biografia di starlette e soubrettine a smentirmi. Il mio stupore di fronte al nuovo genere letterario “Tutto quello che avreste voluto sapere e non avete mai osato chiedere perchè non ve ne importava nulla”, non è per la scoperta di nascoste o sospette abilità da narratrici, piuttosto la presunzione da parte loro nel credere tanto interessante il loro vissuto da abbattere degli alberi per farci fogli stampati con racconti di un’infanzia segnata dalla morte del gatto, una gioventù piena di complessi perchè troppo belle, l’ingresso nel difficile mondo dello spettacolo con i suoi compromessi a cui non sono MAI! scese, gli amori segreti immortalati nelle foto decise a tavolino, la volontaria ammissione di interventi chirurgici di cui però si dicono pentite o descrivere i loro profili sui social, affollati da migliaia di ammiratori presenti con un click ad ogni nuova pubblicazione di quegli autoscatti ( mi rifiuto di chiamarli selfie) talvolta al limite del buongusto. Tutte confidenze di cui fino ad ora ho fatto volentieri a meno e continuo a non sentirne il bisogno. Dunque, ringrazio il dottore, rifiuto l’offerta e vado avanti.
E se si capisse che l’autobiografia dovrebbe essere un privilegio al culmine o alla fine di una splendida carriera artistica, scientifica, sportiva o avere i requisiti per interessare un vasto pubblico, ci risparmieremmo di vedere una Chiabotto o Colombari sugli scaffali delle librerie.
In caso contrario, mediterò seriamente di scrivere la mia. Parlerò della mia felice infanzia in una famiglia numerosa e non certo ricca, della mia unica bambola alla quale cucivo i vestiti e delle ore passate a sferruzzare per confezionarle sciarpe e cappottini di lana, racconterò di come in adolescenza avessi più complessi io che la Piazza San Giovanni al concerto del 1°Maggio, tutti gli anni di liceo ed Università chiusi e sigillati in un baule per la mia decisione di essere solo moglie e madre. Poi dedicherò un intero capitolo il giorno del mio matrimonio organizzato in 17 giorni…
Lo so, sono argomenti per un buon libro o il commovente curriculum per vincere un Talent, ma davanti alle telecamere saprei solo fare “ciao” con la mano. Preferisco l’autobiografia ed ho già in mente il titolo: breve, simpatico, senza pretese e con un chiaro riferimento alle mie origini.
La chiamerò “Bedda Paparedda”.