selfieMi ricordo un vecchio spot della Kodak che recitava “Una foto non scattata è un ricordo che non c’è. Ricordati di ricordare” che mi fa pensare a “Più bella cosa non c’è, più bella cosa di te…” e poi si sono lasciati. Eh sì, perchè è fallita la Kodak, l’abitudine a stampare le foto ed il consiglio che quella pubblicità cercava di divulgare dal quale oggi ci potrebbe salvare solo un pandemico alzheimer. Non solo ci si ricorda di ricordare compleanni, battesimi, cresime, comunioni, meeting d’affari, primo giorno di scuola e concerti, ma anche il gesso al braccio, gli scaffali del supermercato, le vetrine dei negozi, le sagre paesane, le bancarelle dei fruttivendoli, il banco dei gelati, le pagelle dei figli ed i piedi in spiaggia che non avranno mai posto negli album di famiglia, fermi ormai a dieci anni fa.
Capita pure che l’altrui voglia di immortalare tutto e a tutti i costi, faccia diventare involontari testimoni di scene indecorose come quella dei due ragazzi che cercavano lo scatto migliore. Sott’acqua. Con ripetuti e duraturi tentativi che, in certi momenti, mi hanno fatto temere il peggio. O quella mamma che stringeva a sè il suo bambino e prolungava l’abbraccio dopo essersi accorta che la sorella cercava nella borsa il telefono mentre il bambino si dimenava inutilmente per liberarsi dalla stretta materna e tornare finalmente a respirare. Si è sfiorata la tragedia.
Poi ci sono anche quelle situazioni in cui a nessuno viene in mente di prendere una macchina fotografica, un telefono, una videocamera, tela e pennello, foglio e matita e non rimane altro che raccontarle.
Qualche sera fa, avevo finito di cenare con la mia famiglia nella sala da pranzo e vado in cucina per prendere la frutta. Esco dal frigo il quarto di un’anguria grande quanto una bomba disinnescata della II Guerra Mondiale e l’appoggio sul tavolo. Prendo dal cassetto delle posate il coltellaccio da omicidio premeditato per tagliarlo e ritorno dai miei. Qualcosa non mi tornava e rallento il passo durante il tragitto per riflettere: avevo lasciato l’anguria in cucina e stavo comunque ritornando nella sala da pranzo. Sarebbe giusto immaginarsi bene la scena: io che entro nella stanza a passo lento, sguardo poco lucido ed un coltello in mano. Ancora mi chiedo se fosse più degna di essere consegnata all’eternità la mia espressione o quella inorridita di marito e figli. Certo, neanche questa sarebbe stata meritevole di un posto nell’album di famiglia però, se qualcuno avesse avuto la prontezza di scattare una foto, l’avrei attaccata con la didascalia “L’ultima cena”.