sala“La vita di un puntuale è un inferno di solitudini immeritate”, citazione di Stefano Benni in cui vivo di continuo e nella quale ho trascorso un paio di ore nel pomeriggio di oggi perchè dovevo presentarmi alle 17:15 e alle 17:14 ed una manciata di secondi sono già sul posto, nonostante si tratti di un appuntamento medico. Entro nella sala d’attesa con passo discreto, saluto sillabando la buonasera per osservare singolarmente coloro che mi precedono ed affollano gli stessi metri quadrati di una cella di Guantanamo, guadagno terreno e mi avvio verso l’unica poltroncina libera con seduta di similcuoio – diventata in breve la seconda pelle delle mie gambe – accanto ad un paravento coperto da posters informativi sui nuovi rimedi per malattie di cui ignoravo l’esistenza, ma ne avrei sentito tutti i sintomi nel giro di pochi minuti: colta in pieno dalla celebre “Sindrome di Michele Mirabella”.
Il caldo è asfissiante, l’aria entra solo dalla piccola finestra coperta da una zanzariera e alzo la sguardo per controllare se magari il condizionatore sia spento. Nessun condizionatore. Dopo questa triste verifica mi sembra di sentire ancora più caldo. Meglio non pensarci. Sono l’ultima arrivata e mi sento un po’ osservata, forse non è solo una sensazione perchè la signora di fronte sembra voler fare con me il gioco dello specchio: guardo in alto per il condizionatore, pure lei, controllo l’orologio ed il telefono, orologio e telefono al tavolo della signora. Chissà cosa farebbe se mi alzassi all’improvviso, gridando “Fermi tutti: questo è un attentato!” Magari stavolta non mi imiterebbe ed io sarei arrestata.
Sin dal mio arrivo, la televisione nell’angolo in alto della stanza trasmette una televendita di crucce pieghevoli per abiti, fatte di un materiale innovativo che rivoluzionerà i nostri armadi, c’è la mamma stressata che minaccia sottovoce il figlio perchè vuole prendere il pallone sotto la sedia (e lasciarlo a casa? Il pallone o la peste, a scelta…), un distinto signore è fermo nella stessa pagina del libro da troppo tempo per non pensare che non abbia voglia di parlare con la sua distinta moglie, un ragazzo molto curato continua a sistemare i bottoni della camicia e gli imperdonabili risvolti dei pantaloni che meritavano il premio “Spray al peperoncino negli occhi, ma quello calabrese, eh”. Sì, il nome del premio è proprio questo “Spray al peperoncino negli occhi, ma quello calabrese, eh”.
E’ passata quasi un’ora, mi sono già convinta di avere 2/3 malattie comunque curabili, penso al mio arresto, ad accecare un uomo per futili motivi e l’assistente del dottore non ha ancora chiamato nessuno. Il caldo è sempre più insopportabile, tutti fissano tutti, io mi sto ormai convincendo che devo avere a tutti i costi le crucce piegevoli della televendita mentre cerco di rompere il cerchio da terapia di gruppo nell’unico modo possibile: leggere una rivista. Ora mi torna utile la pila di giornali sul tavolo di vimini, accessibile a tutti i presenti che si sono guardati bene dal prenderne uno. Lo faccio io. Lo prendo e leggo il nome sulla copertina: “RISTRUTTURARE”.
RISTRUTTURARE? Ma siamo ad un raduno sindacale di muratori? Sfoglio il giornale alla ricerca disperata di qualche pagina pubblicitaria: poche e tutte di materiale edile. Lo poso di nuovo su quel tavolo di vimini che regge solo riviste RISTRUTTURARE e decido di tornare al cerchio da terapia di gruppo con la tentazione di dire – Ciao,io sono Milena e mi sono stancata di aspettare -.
Ed intanto un’altra ora è trascorsa in barba alla mia immeritata puntualità verso il medico ed al post- it con l’orario dell’appuntamento scritto di suo pugno.
Nel frattempo, entra una ragazza molto giovane e sola (particolare non trascurabile per chi come me dal dottore preferisce sempre andarci in coppia come gli animali sull’Arca ). Dicevo della ragazza, entra (e questo pure io), saluta (annotato tra le cose da me fatte), alza lo sguardo verso la televisione all’angolo ed abbassa il volume manualmente, si guarda un po’ intorno e da dietro un armadietto prende un ventilatore a piantana che copriva una sedia pieghevole di legno. La apre e si siede con il ventilatore accanto pochi secondi prima che la latitante assistente del ricercato medico uscisse dallo studio per chiamarla.
Ecco, per me quella ragazza ha vinto tutto, compresa l’incomprensibile precedenza. Almeno, così mi sembrava oggi. A pensarci bene, adesso un po’meno. E a pensare ancora meglio, non capisco perchè io abbia raccontato questa storia.