0

Lo strano vicino

-

Ero già da un po’nel negozio di scarpe senza riuscire a trovarne un paio da abbinare a quel vestito appeso da un paio di giorni ad un’anta dell’armadio in camera da letto, forse per convincermi che era stato un buon acquisto o forse per trovare il coraggio di restituirlo: troppo fasciato, troppo scollato, troppo verde…Verde? Ma come mi era venuto di prendere un abito del colore che non uso neanche per lo straccio per la polvere e proprio per quell’importante evento…?
Guardavo sconsolata la strada dalla vetrina, mentre attendevo seduta sullo scomodo puff l’arrivo della paziente commessa, costretta a recarsi per l’ennesima volta in deposito a cercare delle calzature che forse non erano state ancora create o addirittura pensate. Meditavo seriamente di declinare l’invito alla presentazione di quell’ importante libro quando riconosco, fermo lì, sul ciglio della strada, il mio strano vicino: un uomo silenzioso, poco socievole, dallo sguardo basso, sempre addosso gli stessi vestiti e la stessa indefinita età da almeno un decennio, niente si sapeva del suo passato e ancora meno del suo presente, mai una risposta ad un mio saluto, una voce, un suono o un rumore provenire da casa sua, mai avuto bucato steso, una macchina, un motorino, una bici, un amico, un cane, un gatto, solo un canarino che teneva nel balcone, decorato da un’esagerata vegetazione per scoraggiare occhi curiosi ed indiscreti, dove lo vedevo ogni giorno mettergli acqua e mangime e coprire di sera la gabbia per proteggerlo dalla luce intermittente dell’ insegna del B&B antistante.
Continuavo ad osservarlo, pensando quanto fosse insolito vederlo nella più trafficata via del centro, tra ingorghi ai semafori, affollati tavolini dei bar, gente che corre guardando ansiosa l’orologio e parla animatamente al telefono…In un gesto improvviso si gira verso di me, accenna un sorriso alzando appena la mano e si allontana senza accorgersi che avevo ricambiato quell’indimenticabile gesto.
Non lo vidi mai più.
Era la donna più bella che avessi mai conosciuto.

0

La scena

-

La luce discreta del tardo pomeriggio illumina l’esile figura di una donna intenta a curare i suoi fiori, sfiorandoli delicatamente, come se accarezzasse la testa di un bambino, per non sciupare la cornice variopinta di quella finestra da cui si può scorgere un cielo che minaccia pioggia. Alle sue spalle un’enorme stanza, ormai quasi del tutto buia e resa ancora più oscura dalle pesanti tende strategicamente chiuse, un uomo in camicia con le maniche arrotolate, il nodo della cravatta allentato, l’espressione incerta ed impaurita dal suo stesso gesto, estrae dal cassetto dello scrittoio una scatola di latta, sigillata con nastro adesivo ai quattro lati ed un biglietto ingiallito con una scritta sbiadita dal tempo :”Alza gli occhi e guarda davanti a te.”
Solleva lo sguardo e si accorge di quella ragazza davanti a sè, immobile e curiosa, mentre osserva il custode raddrizzare il quadro su cui è dipinta l’enigmatica scena.

0

Il viaggio

-

In tasca il biglietto della ferrovia acquistato in fretta e un altro da me scritto a chi non l’avrebbe mai letto.
Accanto a me si siede un distinto signore con la giacca profumata di lavanderia piegata sul braccio, appoggia sulle gambe il portadocumenti consumato negli angoli ed apre un quotidiano dalle pagine ancora perfette, la ragazza di fronte distoglie per un attimo lo sguardo verso il paesaggio ancora immobile, fatto di binari e vagoni, per controllare il suo cellulare posandolo con aria delusa mentre la castigata scollatura della camicia fa da icona a quel ciondolo con la lettera “S”, dando tregua alla mia mente distratta ora dalle molteplici ipotesi del nome. La coda nel corridoio aumenta insieme al tono delle voci di chi si affretta ad occupare ormai i pochi posti liberi, il mio vicino di posto a malincuore alza gli occhi da quella barriera di titoli e parole sentendo la voce dell’altoparlante che annuncia un ritardo e manifesta il suo fastidio con un profondo sospiro, il personale comincia a chiudere energicamente le porte del treno esortando a salire i fortunati ritardatari.
Ad un tratto un ticchettio di dita sul mio finestrino prima di quel viaggio che non avrei più fatto.

0

Silenzio, si va in onta!

-

finzioneGuardo distrattamente i programmi nel primo pomeriggio della Rai che hanno per protagonisti la cosiddetta “gente comune”, che tanto comune non mi pare a meno che (altro…)

0

Una domenica per caso

-

E’ la domenica di una festa programmata da tempo, mi aggiro tra gli invitati vedendo la mia immagine riflessa nelle vetrate con quel vestito scelto solo all’ultimo momento, qualche distratto saluto, una doverosa stretta di mano mentre guardo insistentemente l’orologio che segna quell’ora troppo presto per andarsene e troppo tardi per non esserci mai venuta, esco in giardino lasciandomi alle spalle il sovrapporsi di troppe voci adesso più debole e tenendo tra le mani un bicchiere con l’impronta del mio rossetto lasciata prima di sentire in bocca l’amaro di quell’ aperitivo che non ricordavo neanche di aver preso.
Mi siedo sull’unica panchina, faccio in tempo a togliere solo una scarpa, e prima del sollievo, sento sussurrare -“Anche tu annoiata, vero?”- smentendo la mia convinzione di essere sola ed incrociando quel sorriso che avrei rivisto infinite altre volte nel ricordare il nostro primo incontro in quella noiosa domenica sera.