memoPasso davanti ad un condominio di tre piani in cui vivono un impiegato in pensione con i suoi tre figli e dove una volta c’era la casa della signora Giovannina, un solo piano rialzato da tre scaloni che saliva reggendosi dal muro grezzo con una mano e sollevando il lungo vestito nero con l’altra. Magra come i tempi delle guerre che aveva visto, i capelli raccolti senza pretese che incorniciavano il viso reso così ancora più scarno e le maniche lunghe in ogni stagione per un freddo antico e sconosciuto a noi armati solo di pollice ed indice puntati contro il rivale di gioco e lo sparo era fatto con un suono della bocca.
Spesso si sedeva su una sedia di legno davanti alla porta per difendere la vetrata del suo modesto ingresso dai nostri incontrollati tiri col pallone e chiedere ad ognuno di noi “A chi sei figlio, tu?”, domanda che si rivelava minacciosa quando ci diceva che avrebbe raccontato ai nostri genitori di averci visto scivolare con i cartoni dalla discesa della ferrovia. Non amava l’universo infantile o l’umanità in genere, se i bambini perchè sarebbero diventati uomini o gli uomini perchè erano stati bambini ed era dura, schiva, severa con tutti, ad eccezione dei gatti e la figlia di una vicina che usciva solo per passeggiare sottobraccio a lei che le raccontava storie con voce tremante e parole sillabate per gli anni che premevano sulle corde vocali mentre l’andatura, lenta e mai diversa, non permetteva di capire chi delle due assecondasse il passo dell’altra. Forse si rivedeva in lei da piccola o forse era la nipote che aveva sempre desiderato da figli che non aveva avuto e solo lei era entrata a casa sua, tranne quella volta in cui le stava portando un piatto coperto da una tovaglietta a quadri e chiusa con doppio nodo. Non ricordo se Anna mi disse di seguirla o fui io a chiederlo, fatto sta che le corsi dietro e, appena entrata, mi ritrovai davanti al letto messo al centro di una stanza enorme e buia ed accanto a me un comò molto alto, non tanto da non riuscire a vedere appoggiati qualche forcina per capelli, uno specchio da toilette con manico, la foto del marito morto da sempre ed una scatola rosa con il piumino come concessione ad un’insospettabile vanità. La porta della cucina era accanto ad un piccolo armadio a due ante della camera da letto e portava ad una stanza ancora più buia e ritirata, segno che un tempo il cibo e la tavola erano più importanti e sacri del dormire. Adesso viviamo tutto il contrario. Feci capolino con la testa, ma non in tempo per vederla mangiare la torta preparata dalla mamma di Anna perchè cominciò a chiedermi in malo modo cosa facessi a casa sua ed a rimproverare la bambina perchè responsabile della mia presenza.
Non ricordo di essere mai più entrata a casa sua e non mi domandò mai spiegazioni sull’accaduto. Riprese le sue passeggiate con Anna alla quale una volta chiese di ricordarsi di lei o sarebbe stata dimenticata per sempre perchè non aveva avuto figli ed i nipoti erano distratti. Finchè metti ancora la carta delle caramelle davanti agli occhi per guardare il mondo, pensi che le persone anziane siano nate vecchie, le senti raccontare storie di quando erano giovani o – addirittura – bambine, ma non ci credi ed è più credibile che una donna senza cognome e per anni con la stessa età come la signora Giovannina, possa essere dimenticata, Ed invece…