scritto
Buttai il telefono nel cassetto e lo chiusi con la forza della paura. Tutto era impresso nella mente, dovevo solo dargli vita. Cominciai a scrivere come sotto dettatura, senza mai fermarmi fino alla parola “Fine”. Salvai il file e me stessa dai troppi pensieri e decisi di uscire. Cominciai a guidare senza meta, ma sentivo il bisogno di parlare con Marcus.- Ciao, ti disturbo? –
– Grace… dove sei? –
– In giro con la macchina…Devo vederti. –
– Arrivo. –
“Il nostro bar” era diventato “il solito bar” da quando la storie tra noi due era finita, ma continuavamo a vederci e lui non aveva mai smesso di corteggiarmi.
– E’ finito il tuo ramadan sociale dal resto del mondo? –
– Beh, sì…avevo anche bisogno di vederti. –
– Vuoi festeggiare la conclusione del tuo romanzo, vero? –
– No, devo mostrarti una cosa…-
Uscii dalla borsa il telefono per cercare quel messaggio che non avevo più letto.
– Non lo trovo! Non c’è! –
– Dai, lo sai che non hai bisogno di scuse per farmi correre da te… – accarezzandomi le mani diventate gelide.
– Ti prego, non è il momento…-
– Non è come pensi, anzi…Aspettavo con ansia la tua telefonata perchè volevo dirti che sto uscendo con una ragazza. –
– Chi è? – chiesi con tono poco amichevole e molto inquisitore.
– Lavora da poco con me alla Radio. Si chiama Samantha. –
– Con l’acca o senza? – e scoppiai in una risata liberatoria da un’inspiegabile gelosia –
– Non lo so…Sono cose delicate e ci vediamo da poco…-
Stavolta era lui a ridere. E mi faceva rabbia. Mi sentivo come quella volta in cui mio padre diede in beneficenza il mio violino solo perchè avevo deciso di non suonarlo più. Senza chiedermi se fossi d’accordo, senza possibilità di ripensamenti e la nobile causa impedì qualunque mia reazione. Adesso così.
– Sei felice per me? –
– E tu lo sei? –
– Non conosco bene la felicità, ma credo le somigli molto. E allora, di cosa volevi parlarmi con tanta urgenza? –
La richiesta del giornale sul nostro tavolo di un distinto signore con la tazzina del caffè in mano, mise inconsapevolmente fine alla conversazione e al mio imbarazzo.
– Non era niente d’importante. Ora vado da mia madre che mi sta aspettando. Mi farò sentire.-
Scappai da bar e dalle poche certezze che mi erano rimaste, con la fretta che non avevo e la frase più infantile che potessi dire. E da mia madre ci andai davvero. Avevo ancora le chiavi di casa, ma riuscire ad andarmene per vivere da sola era stata una conquista e suonavo quel campanello per sentire ogni volta il suono della vittoria.
– Tesoro, che sorpresa! –
Prese il mio pallido viso tra le sue mani e lo baciò per tutte le volte che le avevo promesso di andarla a trovare e non lo avevo fatto. Stavolta era diverso. Avevo io sentito il bisogno di trascorrere un po’ di tempo con lei ed ero arrivata senza avvisare. Mi fermai anche a cena.
– Ieri ho incontrato una mia ex collega dei primi anni d’insegnamento e mi ha detto che suo figlio si è iscritto a giurisprudenza. –
– Dovrei essere contenta o telefonarle per gli auguri? –
– Volevo dire che verrà a studiare nella nostra città ed io avevo pensato di affittargli la tua stanza. Se tu sei d’accordo, sia chiaro. Sai, la casa è ormai troppo grande per me ed almeno non sarei più sola… –
E la storia del violino si ripresentava.
– Per me va bene. Quando dovrebbe arrivare? –
– Al più presto…-
– Va bene, mamma. Se non ti dispiace salgo subito per vedere cosa posso portarmi e cominciare a liberare la camera. –
Stavo davanti alla porta con le mani sui fianchi, lo sguardo severo di chi farà tutto e subito, e la voglia di lasciare ogni cosa al suo posto mentre ripetevo come un mantra “Ce la posso fare, ce la posso fare”. In breve riempii gli scatoloni di libri, peluche e di oggetti inutili per questo preziosi e senza pensarci troppo, l’unico modo per riuscire a farlo. Adesso toccava all’armadio. Cominciai dal fondo dove si trova quello che è di certa eliminazione. Trovai altro. Al tatto sembrava un libro e lo tirai fuori. Era un diario di mio padre. Chissà come c’era finito e chissà se fosse stato davvero lui a scrivere in stampatello il suo nome nella prima pagina. Sfogliandolo, riconoscevo la sua grafia mentre raccontava di fatti più o meno importanti che riguardavano il lavoro, la famiglia, gli amici, senza interrompersi nel 2008, data del suo incidente in auto. Scriveva di avvenimenti che conoscevo ed altri di cui ero all’oscuro. Fino ad arrivare al 10 dicembre 2013, data odierna. Quella giornata era nero su bianco in quelle pagine, parlava solo di me e sembrava uscita dalle mie mani: il romanzo da finire, la telefonata con mia madre e la mia caduta…fatale.
Quella caduta in mezzo alla strada mi era stata fatale e nelle ultime ore avevo avuto la possibilità di vedere la mia vita senza me.
Ripensai al mio primo giorno di scuola con le scarpe nuove che mi facevano male ai piedi, le ingiuste punizioni della maestra, quelle meritate di mio padre, il sorriso della signora anziana alla quale avevo ceduto il posto sulla metro, il Natale sempre in montagna, la Prima Comunione e l’ostia attaccata al palato, le linguacce nelle foto tessera con le amiche alla stazione, il bagno di notte a ferragosto, i finali da piangere dei film, le canzoni sotto la doccia pensando di cantare bene, gli sms scritti e cancellati, le telefonate perse, i regali da scartare, la pioggia sui vetri, i mi farò sentire,  mi manchi, mai più, senza fratelli, sorelle, marito, figli, debiti, con un gatto rimasto solo, un libro mai consegnato e qualche giornale locale che mi avrebbe dato il quarto d’ora di celebrità con due righe per raccontare a tutti che oggi sono morta.
Sulla strada, a terra. Come una formica.