macchina_400Stavo preparando la cena che avrebbe concluso quella giornata non proprio bella anche se non era successo niente di grave, anzi non era successo proprio niente (peggio perchè non puoi prendertela con niente e nessuno), quando vengo interrotta da mio figlio vestito, equipaggiato e addirittura in ritardo per la partita a calcetto, motivo per cui mi chiede d’accompagnarlo.
Sbuffando e seccata come ogni volta in cui devo lasciare qualcosa a metà, gli dico di aspettare che mi cambi, ma mi dice di avere i minuti contati e l’unica cosa che mi concede di fare è prendere la borsa e scappare. Durante il tragitto gli rimprovero per non essere stata informata di quest’impegno ed avermi obbligata ad uscire di corsa,ma mi risponde che lo aveva saputo anche lui pochi minuti prima e comunque aveva dovuto studiare per quell’importante compito di matematica. Mi zittisco.
Arriviamo e, senza aspettare che l’auto si fermi del tutto, prende il borsone e scende mentre lo saluto rassicurante quasi a scusarmi per i toni usati prima e scongiurando gli infiniti sensi di colpa che avrei avuto fino al suo rientro.
Riprendo la strada di ritorno, lunga e larga, senza ingorghi, un po’ fuori mano ottima per far correre mezzi e pensieri, una canzone nello stereo che mi sembra aver già sentito, forse è quella che piace a mia figlia e questo è bastato a non cambiare stazione, una macchina mi precede, mette la freccia nella direzione che prendo anch’io subito dopo e penso se non sembra che la stia seguendo. Accendo i fari, tolgo gli occhiali da sole e li appoggio nel vano dove tengo i biglietti per la sosta ed il telefonino. Il telefonino! Lo avevo lasciato a casa e, mentre mi chiedo se si tratti davvero di dimenticanza, mi viene in mente quella giovane coppia vista qualche giorno prima dal dottore per il vaccino della loro bambina che urlava e sgambettava inconsolabile sul lettino mentre i genitori lasciavano il dottore compiere freddamente il suo dovere per riprendere divertiti la scena con lo smartphone.
Adesso davanti a me c’è uno scooter a moderata velocità, una bambina è seduta dietro con un casco di mille colori, gli occhi chiusi e le braccia che non bastano stringendosi al suo papà, lo sorpasso e penso alla mia vicina che non vedo da un po’, al messaggio da inviare a mia sorella appena arrivata a casa, a quella vecchia intervista di Enzo Biagi letta la mattina, a quel regalo da prendere …
Casa!
Avevo fatto il giro più lungo per dare spazio ai miei pensieri, tanti, rapidi,  privi di  pause o punteggiatura ed ai loro protagonisti di avvicendarsi come una scena teatrale, ma senza un copione o ordine logico.
Riprendo a preparare la cena con un inspiegabile benessere, una strana serenità, semmai possa esistere una serenità strana.
Questo era ciò di cui avevo bisogno in quella giornata non proprio bella: mezz’ora in compagnia di me stessa ed un impegno improvviso, indesiderato e nel momento sbagliato.
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