richAvrò avuto 7/8 anni, quando un pomeriggio come tanti mia madre mi chiamò interrompendo i compiti che cercavo con fatica di finire per le 5, ora in cui cominciava la programmazione televisiva con la tv dei ragazzi. Andai subito, un po’ seccata e del tutto ignara della lezione di vita che avrei ricevuto.
– Devo dirti una cosa. L’altro giorno una signora ha telefonato a casa dicendo che ti ha visto a passeggio con papà. Non ha figli e
vorrebbe adottarti -.
– Perchè proprio me? –
– Ti trova carina e ben educata: sei la figlia che lei e suo marito hanno da sempre desiderato.-
La tenera età non mi ha certo portata a dubitare delle modalità per avere il nostro numero o sospettare dell’esistenza di improbabili adozioni telefoniche e, davanti ai miei occhi sgranati, sguardo curioso e orecchie drizzate, incalzava:
– Ha una casa grandissima e bellissima – usando seducenti superlativi tanto cari ai bambini – con un immenso giardino ed un barboncino
bianco, come hai sempre desiderato.-
– E sarò figlia unica ed avrò una stanza tutta mia, vero?
– Certo, e ti comprerà tutti i vestiti ed i giocattoli che vuoi. Se accetterei…
Quella responsabilità scatenò dentro di me una tempesta e, per come mi permetteva l’età, cominciai a valutare ogni cosa.
– Ma ogni tanto potrò venire a trovarvi?
– No!- rispose mia madre decisa e soddisfatta alla domanda regina che tradiva i miei dubbi, addolcendo quell’inspiegabile fermezza
– Le daresti un dispiacere…-
– E posso portarmi Claretta?- (la mia unica ed adorata bambola).
– Non puoi portarti niente, ma ne avrai così tante da dimenticarla. –
Sentivo il mio iniziale entusiasmo vacillare davanti a tali inaccettabili compromessi e mi allontanai. Guardavo fuori e già mi mancava quello che era ancora davanti ai miei occhi e non avevo ancora perso: la strada dove giocavo da sempre, la mia amorevole vicina che a stento riuscivo a non chiamare nonna, la bottegaia che mi dava gli spiccioli del resto in caramelle, quel mandorlo che fioriva ad ogni primavera (è ancora lì) e poi, tutto sommato, non era male dividere la stanza con mio fratello nelle paurose notti di tempesta quando avvicinavamo i letti per tenerci la mano o dopo aver stoicamente ed ostinatamente visto un’altra puntata di Belfagor.
Tutto aveva più il sapore di rinuncia che d’opportunità di una vita privilegiata. Il tormento per l’indecisione si trasformò presto in sollievo quando mia madre decise di porre fine a questo teatrino, rivelandomi che era stata un modo per tacere le tanto continue quanto superflue richieste che non avrebbe potuto assecondare e farmi capire che essere amata dalla mia famiglia e possedere l’essenziale, era tutto ciò di cui avevo bisogno e non avrei mai potuto fare a meno.
Non ho parlato per qualche giorno e questo episodio poteva farmi maturare o bloccarmi la crescita: sono diventata grande!
Grazie mamma per avermi raccontato di quella ricca signora ed insegnato che quella ricca s’ignora.